Eravamo a Numana, all’ora di cena, seduti al tavolo di un locale che serve e vende prodotti alimentari tipici, intenti a spartirci con gusto un cartoccio di olive all’ascolana nell’attesa del tagliere con la crescia. Tutto era ottimo ed abbondante, la crescia appena sfornata era calda al tatto e sul tagliere erano disposte fette di lonza, ciauscolo, salame e formaggi della zona. Sopra le fette di pecorino stagionato erano adagiate quelle un po’ sottili di un salame più scuro del normale: la raccomandazione era di tenerle per ultime.
È stata grande la sorpresa al primo assaggio, quando la consistenza leggermente pastosa ha svelato il sapore del fico secco ed altri aromi delicati al punto giusto. Era una fetta di lonzino di fico, un dolce tipico delle Marche, che si presenta come un salame lungo una quindicina di centimetri, di color bruno dorato, avvolto nelle foglie di fico e legato con lo spago. Le sue fette hanno un diametro di circa cinque centimetri e il bianco del grasso è sostituito dal colore chiaro di noci e mandorle tritate amalgamate nell’impasto.
È prodotto nell’anconetano, nella Vallesina, là dove il fiume Esino rallenta la sua corsa e si allarga in una vallata chiusa da verdi colline che vanno digradando verso il mare, dominate dagli antichi borghi murati dei castelli di Iesi. Fino a qualche anno fa vi si coltivavano piante di fichi delle varietà Drogatti e Brogiotti, i cui frutti delicati ma saporiti arrivavano alla maturazione poco prima della vendemmia. Per non doverne sprecare, i contadini ne essiccavano buona parte al sole o nel forno a legna usato per cuocere il pane, poi li sminuzzavano e vi mescolavano insieme altra frutta secca o col guscio, con l’aggiunta di un goccio di Mistrà. Ne ottenevano un dolce buono, sostanzioso e nutriente, che si manteneva bene fino a Pasqua. Era la merenda preferita dai bambini, da gustare tagliata a rondelle su una fetta di pane appena scaldato. Il profumo risveglia i ricordi e c’è chi racconta che il lonzino venisse conservato in cantina insieme agli altri salumi.
Col tempo questa tradizione è andata perdendosi, la coltivazione delle varietà di fico Drogatti e Brogiotti è stata lentamente abbandonata ed il lonzino di fico è diventato un dolce raro, da salvaguardare. Sono state intraprese numerose iniziative in tal senso: è stato registrato come Presidio Slow Food ed è stato inserito nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali delle Marche dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali con le diciture: Lonza di fico, lonzino di fico, lonzetta di fico e salame di fico. Sono stati ripiantati centottanta alberi di fico dottato bianco, capaci di produrre ogni anno circa cinquanta quintali di frutta fresca, raccolta tra agosto e settembre e messa ad essiccare nelle ceste fino ad ottobre, quando viene preparato il lonzino seguendo ricette tramandate da genitori e nonni, di generazione in generazione. Me ne sono fatta spiegare una e la condivido qui:
Ingredienti
1 kg fichi
50 g mandorle
50 g gherigli di noci
semi di anice q.b.
Mistrà q.b.
foglie di fico q.b.
Preparazione
Sbucciare i fichi e farli passire nel forno preriscaldato; intanto sminuzzare i gherigli e le mandorle. Macinare i fichi essiccati, inumidire la superficie di lavoro con del Mistrà e aggiungere i gherigli delle noci, le mandorle tritate, i semi di anice e un bicchierino di Mistrà. Amalgamare insieme gli ingredienti, ottenendo un composto che va modellato a forma di salame, lungo una ventina di centimetri e del diametro di circa cinque centimetri, che va poi avvolto nelle foglie di fico come se queste ne fossero la pelle. Legare il salame con lo spago.
Lasciar riposare almeno un paio d’ore e conservarlo in un luogo fresco ma non in frigo.
È possibile servirlo da solo come dessert accompagnato da un bicchiere di passito o assieme a formaggi di media stagionatura o tagliarlo a cubetti ed aggiungerlo nelle insalate come complementare della rucola.
Buona degustazione!
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