Nel quartiere Cuba di Palermo c’è un cimitero sotterraneo di circa trecento metri quadri, nel quale sono esposte migliaia di salme mummificate, vestite con gli abiti delle loro epoche. Tra di loro, la piccola Rosalia Lombardo sembra dormire.
Sospesi, camminiamo sul filo sottile tra ciò che è stato e ciò che è.
La curiosità ci ha spinti a venire qui a visitare il cimitero dei Cappuccini di Palermo: sapevamo che cosa avremmo trovato ma non eravamo pronti ad un confronto così diretto con la morte.
Abbiamo pagato l’obolo all’ingresso, attraversato corridoi e sceso scale. Siamo arrivati in un’ampia sala sotterranea, scavata nel tufo, ben illuminata, con il soffitto alto e le pareti imbiancate e divise in corridoi e nicchie. Il pavimento è fatto di lapidi mortuarie e piastrelle maiolicate. Camminiamo sospesi sopra tombe dai nomi quasi illeggibili. Poi iniziamo a mettere a fuoco che cosa c’è nelle nicchie: sono uomini, vestiti di tutto punto ma con abiti di un’altra epoca. Sono in piedi, con la testa reclinata verso il basso e sembrano guardarci con le loro orbite vuote. Uno indossa una giacca nera con i risvolti di velluto, uno ha la camicia di seta; uno indossa un elegante soprabito ed un fazzoletto al collo, uno porta un berretto, un altro mostra il cranio scoperto, un altro ha ancora i capelli. A molti è rimasto il teschio mentre per altri la pelle conserva ancora tracce dei lineamenti, magari perfino le sopracciglia e baffi sottili. Alcuni hanno la bocca socchiusa, come se fossero stupiti di essere qui; altri sembrano urlare la loro angoscia; altri, con il capo chino e le mani giunte verso il basso, sembrano vergognarsi per il loro aspetto. Qualcuno ha le palpebre abbassate come se stesse dormendo. Qualcuno sembra guardarmi come se volesse raccontarmi qualcosa o lasciare un messaggio per coloro dai quali non vuole essere dimenticato.
Antonino Prestigiacomo ha cinquant’anni dal 1844, ha zigomi pronunciati, il naso un po’ schiacciato, labbra sottili e i capelli scuri ed ondulati che gli arrivano quasi al mento e lasciano scoperta la fronte ampia. Di lui qualcuno ha scritto che fosse un dongiovanni morto in duello per mano di un marito geloso ma non è vero. Antonio era un uomo sposato e morì naturalmente nel suo letto di casa il 3 dicembre 1844. Fu imbalsamato con iniezione endovenosa a base di arsenico e, secondo l’uso dell’epoca, gli furono messi due occhi di vetro per dare l’impressione che potesse continuare a vedere. Purtroppo alcuni anni fa sono sprofondati all’interno della testa e non sono più visibili.
Insieme a lui ci sono circa ottomila salme, di uomini, donne e bambini.
Le donne sono quasi tutte nello stesso corridoio, distese con la testa su un cuscino e vestite con l’abito migliore, crinoline, merletti, nastri, lunghe gonne colorate, stivaletti e calze ricamate.
Le vergini sono riunite insieme in una cappella, vestite con l’abito da sposa che in vita non hanno potuto indossare.
Nel corridoio successivo ci sono i professionisti: avvocati, notai, medici, artisti, ricchi borghesi vestiti con giacche, soprabiti e cravattini. Tra di loro ci sono un garibaldino, un diplomatico e, in fondo, distesi in due teche di vetro, ci sono due ufficiali dell’artiglieria borbonica in uniforme ottocentesca, con la casacca verde bordata di rosso, i bottoni d’argento ed il cappello a tricorno.
Infine ci sono il corridoio dei sacerdoti, con i paramenti sacri, e quello dei frati, riconoscibili dal saio ed il cordone al collo come se fosse una stola. Tra loro c’è Silvestro da Gubbio, il frate cappuccino con il saio impolverato, il cappuccio alzato ed un cartello che lo presenta: fu il primo ad essere inumato qui. Era il 16 ottobre 1599, i frati si erano insediati nel quartiere Cuba da poco più di mezzo secolo e già la fossa comune che avevano scavato presso il lato meridionale della chiesa non bastava più a contenere i loro confratelli morti. Decisero di scavarne una più grande sotto l’altare della chiesa e, durante la traslazione dei corpi, si accorsero che ben quarantacinque di quelli si erano conservati in modo “miracoloso”: attribuirono il fenomeno alla benevolenza divina e li esposero nelle nicchie, appendendoli con un gancio all’altezza della nuca.
Con il passare del tempo, i frati impararono le tecniche per favorire la mummificazione naturale dei corpi, estraendone gli organi, facendoli essiccare in apposite stanze, i colatoi, per circa un anno e poi lavandoli con aceto per disinfettarli. In caso di epidemie li lavavano con latte di calce o arsenico; infine li vestivano e li esponevano. I risultati ottenuti con questa lavorazione suscitavano meraviglia: così scrisse a tal proposito Ippolito Pindemonte ne “I Sepolcri”:
“Dopo cent’anni e più: Morte li guarda,
E in tema par d’aver fallito i colpi.”
Presto anche aristocratici e borghesi benestanti vollero ottenere lo stesso trattamento, essendo disposti a pagare grosse somme per preservare il proprio corpo anche dopo la morte. Forse s’illudevano di poterla eludere mantenendo vivi il proprio aspetto e lo status. Forse i familiari cercavano un modo per trattenere nella loro vita coloro che amavano e che la malattia o la fatalità aveva sottratto troppo presto. Potevano scendere liberamente in questi sotterranei, che chiamavano “catacombe”, non solo per piangere i loro cari, ma anche per parlare con loro, chiedere un consiglio o addirittura mangiare in loro compagnia.
“Che dirò delle tue, Sicilia cara,
profonde Sale Sepolcrali, dove
Co’ morti a dimorar scendono i vivi?”
A guardarli adesso, il tempo sembra essere stato impietoso: ha strappato dalle ossa brandelli di pelle scurita, li ha consumati lentamente, ha stracciato gli abiti costosi lasciando intravvedere la paglia con la quale i monaci imbottivano i corpi per favorirne l’essicazione. Qualcosa è cambiato nel clima qui sotto, alterando la loro conservazione: fa caldo, è umido e la muffa verdastra fa capolino tra le pareti.
Tra loro c’è un’unica, famosa ed incredibile eccezione: Rosalia Lombardo, una bambina bellissima con lunghi capelli mossi, biondo-rossicci raccolti in un fiocco giallo, la frangetta sulla piccola fronte, le guance paffute, le labbra piene, il nasino regolare, gli occhi chiusi come se dormisse. Nacque alla fine della prima guerra mondiale e fu accolta dai genitori come se fosse un dono del cielo. Purtroppo si ammalò e morì di polmonite poco prima del suo secondo compleanno, nel 1920. Il padre, che non sapeva rassegnarsi alla perdita del suo tesoro più prezioso, chiese aiuto ad un amico, il Professor Alfredo Salafia, un famoso chimico ed imbalsamatore. Questi si prese cura della piccola Rosalia iniettandole una sostanza a base di formalina, glicerina, sali di zinco, alcool e acido salicilico, una formula segreta che si portò nella tomba e che le donò l’aspetto attuale. Rosalia è “sopravvissuta” ai suoi genitori, è rimasta sola a meno delle migliaia di turisti che vengono a visitare questa “particolare attrazione”. C’è chi la considera la mummia più bella del mondo, il più pregevole esemplare appartenente ad una delle collezioni più importanti. È stata studiata con la TAC per verificarne lo stato di conservazione e risulta avere ancora tutti gli organi interni intatti. Io la guardo e vedo una bambina bellissima per la quale il tempo finge di essersi fermato e che non si sveglierà più.
Ovunque, cartelli ricordano che siamo in un luogo sacro ed invitano a non fare foto né filmati, in segno di rispetto. Ho scelto di assecondare questa richiesta, riconoscendo dignità alle migliaia di corpi che sono esposti qui dentro, trattati come fantocci dai visitatori che li additano ridendo e disturbano il loro sonno a colpi di flash. Non vedo nulla di risibile nella morte: è una tappa misteriosa in un viaggio imprevedibile.
Non vedo nulla di risibile in quei corpi: sono mummie che raccontano la loro epoca; sono una risposta all’umana ricerca dell’immortalità; sono ciò che resta delle persone che erano e premoniscono ciò che sarà di noi tutti, un giorno.
Città Palermo, Cimitero dei Cappuccini
Provincia Palermo
Regione Sicilia
Coordinate GPS 38.11134,13.3395
Come arrivare
A piedi: il Cimitero dei Cappuccini di Palermo si trova in Piazza dei Cappuccini, 90134 Palermo PA. Da Piazza Indipendenza seguire Via dei Cappuccini, al primo incrocio svoltare a destra su via Pindemonte e percorrerla fino a Piazza Cappuccini dove sono situate la Chiesa di Santa Maria della Pace e le il Cimitero dei Cappuccini, chiamato anche “le Catacombe”.
In treno: La stazione ferroviaria di Palermo; da qui è possible proseguire con l’autobus o la metropolitana.
In autobus: Dalla Stazione Centrale Autobus 109 o 318 fino a Piazza Indipendenza.
Da Piazza Indipendenza proseguire con l’autobus 327 oppure a piedi.Per saperne di più
Per maggiori informazioni sulle Catacombe di Palermo è possibile visitare il sito internet http://www.catacombepalermo.it/
Su Palermo ho scritto anche a proposito della fontana Pretoria:
– Le vergogne della fontana Pretoria (PA)Affrontano lo stesso tema i seguenti articoli:
– L’antologia del cimitero monumentale di Milano (MI)
– Il mistero delle mummie di Ferentillo (TR)
– La vita al cimitero delle Fontanelle (NA)
Visits: 1654
Lascia un commento