Sul lato orientale dell’Isola d’Elba, la visita al Parco Minerario di Rio Marina è un’esperienza da non perdere.
Una jeep militare da otto posti: ecco il nostro mezzo di trasporto. La nostra guida è un giovane marinese doc, collezionista di minerali e geologo. Due parole di presentazione ed ingrana la marcia verso una nuova avventura elbana.
Mette su la colonna sonora di Indiana Jones ed altra musica briosa e presto iniziamo a “ballare”: il sentiero che sale all’interno del Parco Minerario di Rio Marina inizia appena fuori il paese, è dissestato, stretto e mozzafiato. Le tonalità della terra variano dal grigio, al marrone, al nero; radici sottili affiorano da rocce giallo ocra e rosso sangue. Le sfumature di verde della macchia mediterranea sono pennellate insieme al colore della corteccia dei pini marittimi ed al carminio delle bacche di mirto.
Ci fermiamo davanti ad una caverna artificiale, puntellata con assi di legno; presenta delle concrezioni sulla parete esterna, come grandi stalattiti. Di nuovo, i colori della roccia sembrano usciti dalla tavolozza di un pittore; calcite, ematite e limonite dipingono un quadro astratto.
Da qui vengono le terre rosse utilizzate nelle pitture rupestri ma soprattutto qui c’è ferro in abbondanza, importante fin dall’antichità per la creazione di utensili ed armi.
Virgilio, nel X libro dell’Eneide, scrisse che al seguito di Enea c’erano anche trecento guerrieri elbani e questi venivano da un luogo nel quale la vena ferrigna è talmente ricca che quelli erano “dal capo a i piè tutti di ferro armati”.
Circa nello stesso periodo, Diodoro Siculo testimoniò che l’isola d’Elba era chiamata dai greci “Aethelia”, la fumosa, per la grande quantità di fuliggine prodotta dai forni di lavorazione del ferro. Già all’epoca i minatori lo ricavavano dalle pietre locali, che tritavano riducendole in polvere, per poi cuocerle nelle fornaci: “n’esce poi per la gran forza del fuoco la materia del ferro in piccoli pezzi, che hanno forma di grandi spongie”.
Quando i boschi elbani non furono più sufficienti a garantire il combustibile necessario per raggiungere le alte temperature necessarie alle fornaci, la fusione del ferro fu trasferita al di là del mare, nell’antica Populonia, dove gli scarti di lavorazione formarono una montagnola di polvere nera e scintillante tale da seppellire un’intera necropoli.
Passando accanto alle macchine perforatrici per lo scavo, ormai arrugginite, arriviamo al Cantiere Falcacci, coltivato dai primi anni del 1800 fino al 1960. Ci affacciamo al ripido pendio di terra e detriti, dal quale brillano piccole pepite d’oro, quello “degli stolti”. Si tratta di pirite, un minerale sfaccettato per natura; le sue forme geometriche dipendono dalla pressione alla quale è sottoposto. Al Museo Minerario di Rio Marina sono esposti degli esemplari cubici talmente perfetti da sembrare l’opera di uno scultore.
Traballando sul sentiero sassoso, affascinati dal paesaggio elbano, passiamo accanto ad un laghetto quasi asciutto e dal colore ferroso. Poco più in là, ampi gradoni scavati nella roccia e coperti di vegetazione nella parte superiore indicano la nostra prossima meta: il Cantiere Valle Giove.
Se non fosse per l’azzurro del mare alle nostre spalle, potremmo essere su Marte: siamo in una cava a cielo aperto, ai piedi di un anfiteatro di pietra rossa e gialla. La sabbia nera di ematite polverizzata brilla alla luce del sole. Sulle pareti sono ancora visibili i segni delle perforazioni e successivi carotaggi fatti dai minatori alla ricerca di una vena mineraria, che poi, quando trovata, era fatta affiorare a colpi di esplosivo. I minerali venivano caricati su grandi carrelli e portati prima alla pesa e poi agli impianti di lavorazione e laverie. C’erano ad attenderli i grandi mercantili diretti alle acciaierie di Piombino; il vecchio pontile di carico, ormai mal ridotto, fu travolto da una violenta mareggiata nel 2018.
Armati di piccoli martelli da geologo ed un sacchetto blu, ci viene affidato il compito di trovare le pietre iridescenti. Ci guardiamo intorno con l’imbarazzo della scelta: abbiamo una cava intera tutta per noi.
China tra i sassi neri di ematite grezza, anch’io mi sono dedicata a questa caccia al tesoro, scegliendo esemplari a caso e rompendoli con piccoli colpi veloci. Poi, all’improvviso, un’esclamazione stupita: qualcuno ha trovato “l’ arcobaleno nella roccia” in un esemplare svelatosi bellissimo grazie ai colori che fino a poco prima celava al suo interno.
Con tanta bellezza ancora negli occhi, riprendiamo la ricerca.
Città Rio Marina, Isola d’Elba
Provincia Livorno
Regione Toscana
Coordinate GPS 42°49′N 10°25′E
Come arrivare
In auto: per arrivare sull’isola d’Elba è necessario prendere il traghetto da Piombino Marittima, che si raggiunge velocemente da Piombino. Per arrivarci basta entrare nella Superstrada SS 1 Aurelia in direzione Venturina – Piombino – Isola d’Elba e seguire indicazioni per Piombino.
In treno: per arrivare sull’isola d’Elba è necessario prendere il traghetto da Piombino Marittima. La Stazione ferroviaria di Piombino Marittima è quella di fronte al porto di Piombino, ed è ben collegata alla stazione di Piombino Centrale.
In battello: da Piombino Marittima partono i collegamenti della Toremar e della Moby Lines. Per maggiori informazioni su orari e tariffe è possibile consultare i siti http://www.toremar.it e http://www.mobylines.it
Cosa visitare nei dintorni
– Rio Marina(LI)
– Porto Azzurro (LI)
– Portoferraio (LI)Per saperne di più
È possibile trovare molte informazioni utili su Parco Minerario di Rio Marina sul sito internet: https://parcominelba.it/
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